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IKEA ha scritto a Treccani contro gli stereotipi di genere

IKEA ha scritto a Treccani contro gli stereotipi di genere

NOVITÀ DI MARKETING DIGITALE

IKEA ha scritto a Treccani contro gli stereotipi di genere

Non si può certo parlare delle iniziative dei brand per la Festa della donna 2021, e più in generale di campagne di comunicazione che da ormai qualche tempo celebrano per tutto il mese di marzo il femminile, senza menzionare il fatto che quest’anno IKEA ha scritto a Treccani per chiedere un parere autorevole e da addetti ai lavori su una questione linguistica decisamente spinosa.
Chiedere “posso aiutare?” con le faccende domestiche è sessista? IKEA ha scritto a Treccani per capirne di più
“Posso aiutare?” è un’espressione che ricorre spesso tra le mura domestiche quando si tratta di faccende come lavare i piatti, stirare, avviare una lavatrice; quasi sempre a esserne destinatarie sono le donne di casa e a pronunciarla mariti, compagni, padri, coinquilini, tutti genuinamente convinti di stare facendo un gesto gentile. Eppure, parafrasando il messaggio che IKEA ha scritto a Treccani sui social, è un’espressione che si porta dietro un retaggio culturale non indifferente: offrendo loro il proprio aiuto, infatti, è come se si desse per scontato che le faccende domestiche siano “per definizione” faccende da donne. O, peggio, che sia compito delle donne farsi «carico mentale» (così lo definisce Emma Clit in una serie di fumetti femministi) di tutti i bisogni di ogni abitante della casa.

Quella che la branca italiana del brand propone quest’anno in occasione dell’8 marzo sembra essere, insomma, soprattutto una riflessione sul «potere che ha il linguaggio di formare il pensiero e contribuire a un cambiamento culturale».
Se il benessere domestico di tutti gli abitanti della casa passa anche dalle parole
Si tratta sicuramente di un tema di forte attualità che si aggiunge a una parte della Rete già impegnata a combattere hate speech e online harassment contro le donne (ma non solo, perché vittime degli odiatori seriali da tastiera sono spesso anche le community LGTBQI+, gli individui non binari, ecc.) anche proprio grazie a un linguaggio più inclusivo.

Soprattutto, però, si tratta di un tema – e di un purpose – piuttosto in linea con la missione dell’azienda. In questi mesi infatti, complici anche le misure di contenimento del contagio da coronavirus che hanno costretto gli individui a trascorrere molto tempo in casa, IKEA sembra aver puntato tutto sul proporsi come un brand di soluzioni per il benessere tra le mura domestiche. Lo ha fatto pensando, per esempio, a un catalogo che fosse per la prima volta più simile a una rivista di lifestyle che a un vero e proprio catalogo aziendale, prima di trasformarlo in un podcast che faccia da sottofondo alle innumerevoli attività, dallo studio all’allenamento fisico, che fanno ormai parte della quotidianità casalinga di molti e di aprire le prime stanze tematiche di IKEA su Clubhouse.

Quando si parla di benessere domestico, naturalmente, lo stesso va inteso a trecentosessanta gradi: casa è, infatti,
«il luogo in cui la nostra idea del mondo prende forma, una società in piccolo che ci prepara per quella più grande. È da casa che può nascere una realtà egualitaria oppure una in cui regnano le diseguaglianze. Per questo, crediamo che il primo passo per combatterle vada fatto proprio all’interno delle quattro mura».
Così si legge nel messaggio che IKEA ha scritto a Treccani per la Giornata Internazionale della Donna. Messaggio che è soprattutto un invito ai suoi esperti linguisti per un confronto pubblico e aperto su quanto inconsci e frutto di bias culturali ben radicati siano alcuni atteggiamenti discriminatori nei confronti delle donne.
Nata originariamente (da un’idea dell’agenzia We Are Social) come uno scambio, quasi “epistolare”, tra i profili social delle due realtà, la campagna IKEA per l’8 marzo così è presto diventata virale, condivisa e ricondivisa sui social con tanto di hashtag #PossoAiutare ad accompagnarla e senza essere riuscita, forse, a scongiurare del tutto il rischio di trasformarsi nel “solito” real time marketing delle ricorrenze.

Treccani risponde a IKEA sulla questione degli stereotipi linguistici a casa, ma non mancano le polemiche
Prontamente è arrivata la risposta dell’enciclopedia. Treccani si è detta d’accordo con l’idea che la casa sia una sorta di «piccola società» e ha sottolineato l’importanza
«che a partire dalle relazioni tra le persone che vivono in quell’ecosistema si costruiscano con precisione – come accade con i mobili da montare – i dizionari della condivisione, delle reciprocità, della dignità umana. Chi abita bene le parole in casa, abiterà bene non soltanto la casa ma anche la società: le cerchie di affetti esterni, i luoghi di formazione e di lavoro, di crescita sociale, professionale, culturale, le relazioni con l’ambiente umano e naturale, i momenti dello svago».
È per questo che espressioni come “posso aiutare?”, rivolte alle donne in riferimento alle faccende domestiche, suonano ormai come anacronistiche al minimo e a tratti persino «paternalistiche e ipocrite», inchiodando le donne «allo stereotipo dell’angelo del focolare».
La risposta di Treccani a IKEA è arrivata direttamente sui social. Fonte: Facebook/@IKEAItalia
Sono «parole che non valgono», ha continuato Treccani, e di cui pure un dizionario non può non rendere conto per non tradire una missione che è quella di tratteggiare gli usi reali che i parlanti e gli scriventi hanno fatto e continuano a fare della lingua nazionale.
Se IKEA ha scritto a Treccani per sollevare una riflessione collettiva sull’uso sessista della lingua, la risposta di Treccani sembra giocare insomma anche in difensiva.
Perché stanno chiedendo a Treccani di eliminare alcuni riferimenti sessisti dalla voce “donna”
Solo qualche giorno prima l’enciclopedia si era trovata coinvolta in un’accesa polemica e accusata di perpetrare atteggiamenti maschilisti e misogini all’interno del suo vocabolario.
Con una lettera aperta Laura Boldrini, Michela Murgia e altre attiviste femministe hanno chiesto a Treccani di modificare la propria definizione di “donna” o, meglio, di rimuovere da questa sinonimi sessisti e frasi fatte «espressamente ingiuriosi» nei confronti delle donne. Non è ben chiaro infatti perché – è questo, parafrasandolo, il senso della lettera – “donna” debba essere ancora associato a termini che sessualizzano, oggettificano o presentano come essere inferiore la donna, mentre all’uomo continuano a essere riferite perlopiù espressioni che alludono alle sue buona qualità morali o al suo ingegno imprenditoriale.
Sul dizionario Treccani la definizione del termine “donna” è ancora intrisa di stereotipi sessisti e misogini: è stata questa la rivendicazione di alcune attiviste in prossimità dell’8 marzo. Fonte: la Repubblica.
Tra le firmatarie della lettere, che è stata ripubblicata integralmente tra gli altri da la Repubblica, c’è anche Maria Beatrice Giovanardi che, qualche tempo fa, aveva chiesto e ottenuto che l’Oxford Dictionary cambiasse la propria definizione di “donna”, rimuovendo anche in quel caso ogni riferimento sessista.
Già in quella occasione, e anche ora in riferimento alla polemica che ha coinvolto Treccani, l’Oxford Dictionary ha motivato la propria scelta come un tentativo di innovare e adattarsi al tempo e all’uso che le persone fanno delle parole o, perché no, influenzarlo positivamente e con una “spinta gentile” come quella con cui le piattaforme digitali sono ormai abituate a incentivare buone pratiche tra i propri iscritti.
Dal canto suo, però, Treccani sembra essere convinta nel ribadire che «un dizionario non può selezionare il lessico basandosi su pregiudizi o giudizi morali […], se una società o una cultura esprimono negatività attraverso le parole un dizionario non può rifiutarsi di documentarlo».


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